«Mio figlio è sempre alla Play!»
A chi ha già passato da un po’ gli enta, viene spesso da domandarsi:
Che cosa ci troveranno mai, i ragazzi, nei videogame?
Quello che i videogame muovono è un giro d’affari in costante crescita – un giro milionario – e, in effetti, oggi si può dire che è difficile immaginare un adolescente senza il joystick di una consolle in mano.
Sì, perché per i ragazzi il piacere della realtà virtuale, dove avventurarsi, sparare, o anche solo tirare calci a un pallone, è ormai irrinunciabile.
La grande prova a cui è chiamata la generazione genitori di questi anni, quindi, è come favorire l’integrazione dei videogame nella vita dei ragazzi.
Per rispondere concretamente a questa sfida, occorre innanzitutto liberarsi di alcuni preconcetti:
- no, gli adolescenti non rinunceranno tanto facilmente ai videogame in luogo di altre attività;
- i videogame, in sé, non sono né positivi né negativi; è lo specifico utilizzo che ne fa il singolo adolescente a fare la differenza tra “normalità” e… legittima preoccupazione.
Concentriamoci sul secondo punto: quali sono i potenziali campanelli d’allarme rispetto all’utilizzo di videogame in adolescenza?
- Innanzitutto, i tempi di gioco: quanto tempo passa il ragazzo davanti alla consolle?
- Di conseguenza, l’impatto del gioco sulle altre attività importanti:
– pur di giocare, il ragazzo rinuncia ad attività sociali, come uscire con
gli amici?
– pur di giocare, il ragazzo accantona i compiti prima di averli finiti?
– pur di giocare, il ragazzo perde ore di sonno, o addirittura l’intera notte?
Osservazioni come queste danno un primo orientamento e rispondono a questa domanda: l’uso sta diventando abuso?
Dipendenza da videogame
Per l’appunto, la preoccupazione è lecita quando l’adolescente sembra non poter rinunciare alle proprie sessioni di gioco.
I videogame hanno la caratteristica di creare mondi virtuali “nuovi” in cui il ragazzo può calarsi, e sperimentare se stesso attraverso panni diversi da quelli che indossa di solito.
I videogame sono quindi in grado di far emergere – e talvolta persino di rinforzare – determinate caratteristiche personali già in dote al ragazzo.
Il problema nasce quando diventano l’unico canale d’iniziativa dell’adolescente, che comincia a isolarsi e a preferire di gran lunga la realtà virtuale a quella fisica.
Questo tipo di scelta, che raramente il ragazzo si accorge di effettuare, esprime un suo profondo disagio rispetto all’interazione col mondo che lo circonda e alle relazioni con gli altri; diventa necessario intervenire, perché giorno dopo giorno la realtà virtuale diventa sempre più allettante, e uscirne… sempre più complicato.
I videogame sono soltanto negativi?
No, per niente.
Come accennato qualche rigo fa, attraverso il gioco l’adolescente può sperimentare parti di sé altrimenti non accessibili così direttamente: capacità di decisione, iniziativa, ragionamento.
Inoltre, negli ultimi anni, i videogame sono diventati man mano un fenomeno sempre più “comunitario”.
Non si gioca da soli: grazie ai collegamenti Internet tra le piattaforme, nasce un’interazione che va al di là del semplice gioco.
Insomma, il videogame è un tramite potenziale di opportunità relazionali, in grado di consolidare il rapporto con gli amici e persino di creare nuovi legami.
La dipendenza è un rischio, ma a che fare con le caratteristiche del singolo ragazzo ben più che con quelle dello strumento ludico.
Un problema con i videogame può essere affrontato solo a partire da quelle caratteristiche.
Quello dei videogame è una forma di linguaggio e di espressione attraverso cui il ragazzo manifesta se stesso.
Una tipologia di comunicazione in voga, peraltro, già dagli anni ’90 (si ricorderanno le consolle della Sega, della Nintendo, fino alla prima Play Station Sony), ma che grazie al boom tecnologico dell’ultimo decennio ha saputo imporsi tra i più giovani in maniera ancora più capillare.
Come tutto ciò che è fenomeno culturale, è sbagliato bollare i videogame come nocivi punto e basta.
Una configurazione di rischio e di gravità va soppesata caso per caso, analizzando il comportamento del ragazzo e le sue motivazioni.
Francesco Rizzo
Psicologo Psicoterapeuta Padova