«Niente mi dà piacere».
È una frase che ascolto spesso nella stanza di terapia. L’insoddisfazione potrebbe riassumersi proprio così. Ma proviamo a spenderci qualche parola in più. Succede a molte persone di non riuscire a godersi la vita. Non perché sussistono delle condizioni che lo impediscono (malattie, evidenti difficoltà relazionali, etc). Non necessariamente, almeno. Succede, più spesso, che questa insoddisfazione nasca dalla sensazione di rattristarsi da soli. Da qualcosa che sembra un nonnulla. Altrettanto spesso, questa condizione di insoddisfazione coincide con una serie di successi: un buon lavoro, una relazione stabile, buoni rapporti con familiari e amici.
A volte questa “normalità” non basta. Inquietudine, infelicità costante, ansietà. Sono tutti come sinonimi di questa insoddisfazione cronica.
«Non sono contento».
Sono annoiato. Mi viene da sbuffare. Non mi diverte nulla. Eppure, che cos’ho da lamentarmi?
A volte la fonte dell’insoddisfazione, non risiede per niente in ciò che si ha. A volte l’insoddisfazione è in ciò che si è. Ed è una trappola insidiosa.
«Come sono?»
Esistono alcune caratteristiche di personalità che accentuano molto questo tipo di infelicità, di perenne insoddisfazione.
La prima è una forma di perfezionismo. In questo caso, l’insoddisfazione può nascere dall’impossibilità, percepita, di raggiungere il modello di vita a cui si aspira. Rispetto a questo ideale irrealizzabile, ci si può sentire costantemente inadeguati, insufficienti. S’innesca un circolo vizioso: meno mi sembra di riuscire, meno ci provo. Sto nella mia comfort zone. Che, però, è l’anticamera dell’insoddisfazione.
La seconda ha a che fare con quello che, comunemente, chiamiamo narcisismo. Parliamo, in questo caso, di una ricerca costante, spasmodica, di riconoscimenti, di ammirazione. In questo caso, non basta che le cose vadano bene, funzionino. È necessario sentirsi qualcosa di più; è necessario sentirsi speciale. Ma siccome la vita mette di fronte più momenti di normalità che fasi di esaltazione… la frustrazione diventa quotidiana.
La terza, parecchio connessa alle prime due, è invece una leggera tendenza alla depressione. In parole più semplici, una tendenza a sentirsi giù di morale, stanchi, senza energie fisiche ma soprattutto mentali. Ne parlo più approfonditamente qui
e qui.
«Cosa posso fare?»
Certe caratteristiche di personalità fanno parte di noi. È difficile modificarle. Sicuramente, però, si può fare in modo che queste caratteristiche non incidano sulle nostre scelte e sulle nostre energie in maniera così prepotente. L’insoddisfazione, l’infelicità permanente, sono delle conseguenze di meccanismi di pensiero e di azione che mettiamo in moto… a partire da quello che siamo.
La psicoterapia permette di correggere questa strada, che non è un destino.
Come?
Innanzitutto, dando pieno ascolto al libero sfogo di questa eterna infelicità. Molto spesso, chi è insoddisfatto non ne parla. Ha paura di risultare pesante, noioso. Ha paura di essere evitato. Non è così in psicoterapia, dove non esiste giudizio.
A partire da un prolungato ascolto rispettoso, è possibile individuare cos’è che sta alla radice di queste caratteristiche e, da lì, intervenire. Certi meccanismi fanno parte di noi. Ma possiamo ridimensionarne l’effetto.
In psicoterapia, è possibile individuare i desideri più profondi, quelli in grado di animarci a una ricerca che non sia più sterile e improduttiva.
È possibile imparare a godere delle piccole e delle grandi cose che fanno parte della nostra vita. Senza più rancori seppelliti, questioni o conflitti irrisolti.
Francesco Rizzo
Psicologo Padova