Un adolescente che provoca: perché?
Per rispondere a questa domanda occorre formulare una premessa.
Un figlio che provoca gli altri è un ragazzo che soffre.
È una verità importante, ma quasi sempre trascurata: di solito, ci si concentra in modo particolare sulle “vittime” delle provocazioni.
Porsi con i coetanei in un modo tanto spiacevole ha un senso:
il ragazzo pensa che sia l’unico modo per ricevere l’attenzione altrui.
La sofferenza soggettiva di un ragazzo che provoca costantemente gli altri sta tutta qui.
La provocazione diventa un modo per esistere nel mondo e farsi notare.
Prendere in giro gli altri offre all’adolescente la sensazione
- di potersi imporre su chi gli sta intorno;
- di avere più forza;
- di non poter essere dimenticato.
Un figlio che provoca è un figlio che non si sente né accettato né compreso.
La frustrazione del costante rifiuto da parte degli altri diventa il motore delle provocazioni.
Perché proprio la provocazione?
In adolescenza, il bisogno di farsi notare è uno dei più consistenti.
Attraverso diverse forme di comportamento, il ragazzo prova ad affermare la sua presenza agli occhi di chi gli sta intorno:
- le scarse prestazioni scolastiche;
- l’apatia;
- l’autolesionismo;
- i disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, binge eating);
- il nervosismo costante;
- l’oppositività contro i genitori.
Tutte queste condizioni sono accomunate da un carattere di “estremità”.
Vale a dire: tramite questi comportamenti, l’adolescente mette in atto dinamiche estreme, che presto o tardi finiscono per essere notate.
Gli ultimi due punti elencati si avvicinano molto all’atteggiamento di provocatorietà nei confronti degli altri.
Un figlio che provoca, che cerca sempre lo scontro, ha questo pensiero in testa:
solo se mi do da fare in modo così “evidente”, potrò essere sulla bocca di tutti!
Un figlio che provoca ricerca attenzioni.
Ciò significa che non si sente considerato.
Si tratta di una sensazione che non sempre ha a che vedere con la realtà concreta.
Per quanto un ragazzo possa essere amato dai propri genitori, può arrivare a sviluppare questo doloroso senso di invisibilità agli occhi altrui.
Va compreso il motivo specifico di questo meccanismo di pensiero.
Che fare con un figlio che provoca gli altri?
Comprendere le motivazioni interne che portano un adolescente a sentirsi non calcolato è il primo passo per intervenire.
È una manovra molto complicata:
- gli adolescenti hanno molta ritrosia a scavare a fondo nelle proprie problematiche;
- un ragazzo che provoca finirà per assumere lo stesso atteggiamento anche di fronte ai tentativi di comprensione.
La psicoterapia, in questi casi, può essere di grande aiuto.
È difficile far accettare a un adolescente che esiste un problema talmente grave da dover essere affrontato in psicoterapia.
Per questo, all’inizio, il ragazzo potrebbe aderire mal volentieri al progetto terapeutico.
Potrebbe, di conseguenza, provocare i propri genitori e il terapeuta stesso.
È normale ed è, in qualche modo, legittimo:
il ragazzo ha imparato che provocare è l’unico modo che ha per difendersi.
Lavorare in psicoterapia, anche in condizioni complesse, significa arrivare al nucleo profondo delle difficoltà.
Nel caso di un ragazzo che provoca, vuol dire cogliere la motivazione sottostante al bisogno di essere costantemente oppositivo con gli altri.
Come detto, è una motivazione che non sempre coincide con una situazione “esterna”.
Più spesso, è una convinzione interna ad alimentare questo disagio relazionale:
non posso essere amato, non posso essere “guardato”: mi tocca diventare repellente per poter essere notato!
Un atteggiamento di provocatorietà alimenta un pericoloso circolo vizioso:
più il ragazzo si pone a muso duro con gli altri, più gli altri lo escluderanno, più si rinforzerà la sensazione di non essere amabile.
È proprio questo “cortocircuito” a dover essere curato.
Attraverso il lavoro su se stesso e sulle proprie modalità relazionali, l’adolescente può cominciare a individuare un’alternativa ai suoi comportamenti.
Può anche arrivare a comprendere meglio l’effetto delle proprie azioni, migliorando la propria capacità di mettersi nei panni altrui.
Capire cos’è che provoca dolore in se stessi aiuta a capire anche la sofferenza degli altri.
Le motivazioni che rendono necessaria la psicoterapia nel caso di un ragazzo che provoca gli altri, insomma, sono molteplici.
È fondamentale non sottovalutare il fenomeno, liquidandolo come qualcosa che passerà da solo.
Senza una forma di alternativa, il ragazzo si sentirà sempre più costretto a questo tipo di comportamento nelle proprie relazioni.
Francesco Rizzo
Psicologo Psicoterapeuta Padova