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«… e non so come sta.»

Molti genitori percepiscono come frustrante e doloroso il fatto che i propri figli non parlino con loro.

È una situazione a dir poco tipica, in adolescenza: i ragazzi fanno generalmente fatica ad aprirsi con i propri genitori

Gli adolescenti preferiscono di gran lunga confidarsi con gli amici: più che l’esperienza di un adulto, cercano un confronto alla pari.

Per dirla in altri termini, un adolescente è convinto di poter essere capito solo da una persona che condivide il suo stesso cammino.

Un ragazzo come lui, che magari ha già attraversato un’esperienza simile a quella che il proprio figlio sta vivendo (ad es. una delusione amorosa). 

Una certa quota di “rifiuto degli adulti“, del resto, fa parte dell’adolescenza. 

Non parlare ai propri genitori è, in un certo senso, una forma di sottile ribellione all’autorità:

«Mamma, papà, so che vorreste conoscermi meglio, proprio per questo ci sono delle cose di me che non vi dico.»

Suona un po’ così il messaggio implicito nel silenzio degli adolescenti. 

Una forma di oppositività non troppo diversa da quella manifestata da continui scatti d’ira nei confronti dei genitori o da mancanze di rispetto particolarmente esplicite. 

«Mio figlio non parla con me»: quando c’è da preoccuparsi?

La premessa d’obbligo per rispondere a questa domanda è che non esiste una preoccupazione genitoriale “banale”, o che può essere sottovalutata

Spesso, i genitori in apprensione perché il proprio figlio non parla, lo sono a ragione.

È difficile sentirsi esclusi dal mondo del proprio figlio.

Talvolta, poi, esistono dei fattori specifici di preoccupazione che si legano a questioni particolarmente delicate in adolescenza.

Senza dubbio, un campanello d’allarme può suonare quando il proprio figlio non parla con nessuno

Vale a dire: un ragazzo che non ha persone con cui confidarsi

  • per scelta: pur avendo amici, il ragazzo ritiene che nessuno possa capirlo nella sua intimità emotiva più profonda
  • per necessità: il ragazzo non ha persone intorno, magari perché particolarmente intimidito, o perché vittima di bullismo

Entrambi i casi sono problematici: il primo in maniera più “silenziosa”, il secondo in maniera più evidente.

La difficoltà, però, sta anche nel fatto che, se un figlio non parla, un genitore fa piuttosto fatica a intuire le ragioni del suo silenzio.

Un indicatore di malessere che può aiutare a capire se ci sia da preoccuparsi è senza dubbio l’umore del ragazzo.

Anche lo stato emotivo, in adolescenza, viene spesso celato

Eppure, si tratta di qualcosa che finisce per “filtrare”, in qualche modo: è possibile accorgersi, ad esempio, di momenti o stati depressivi che vengono fuori anche solo da piccole frasi:

«Tanto, cosa vuoi che cambi parlarne?»
«No, non posso parlarne con voi!» 

[che è ben diverso dal dire «non voglio parlarne con voi!»]

«Mio figlio non parla con me»: quando interpellare uno psicologo

In generale, contattare un professionista quando si è preoccupati per il proprio figlio, è sempre una scelta saggia. 

L’adolescenza, per sua natura, tende a rendersi sfuggente

Poter confrontarsi con un esperto in materia può

  • fugare dubbi;
  • rassicurare, ove possibile;
  • contribuire a inquadrare il problema in maniera più nitida.

Ad esempio, individuare delle “regolarità” nel silenzio attivo di un figlio già può cominciare a fare luce sul suo disagio: ad esempio

«Mio figlio non vuole parlare del nostro divorzio»
«È quando si parla di relazioni sentimentali, che mio figlio cambia sempre argomento…»

Il fatto che un figlio non parli con i propri genitori può essere la cosa più “normale” del mondo, ma può anche nascondere un’insidia taciuta di malessere.

Di fronte alla sconfortante sensazione di non sapere come intervenire, la richiesta di aiuto a uno psicoterapeuta può essere un primo passo per fare chiarezza.

Francesco Rizzo

Psicologo Psicoterapeuta Padova