Contattofobia
In epoca di pandemia, si potrebbe pensare alla contattofobia come alla paura di entrare in interazione con persone potenzialmente contagiose.
A ben vedere, invece, la contattofobia – detta anche afefobia – ha un’estensione ben più profonda.
Con questo termine, in senso più generale, è possibile riferirsi all’avversione nei confronti del contatto fisico con altre persone.
La sola idea di toccare qualcuno o di essere toccati da qualcuno, diventa fonte di repulsione, se non di vero e proprio spavento.
Può essere considerata una “fobia” a tutti gli effetti.
E come tutte le fobie, è in grado di compromettere anche pesantemente la vita di chi ne soffre.
Esempi banali possono riguardare episodi sul posto di lavoro, nell’interazione con i colleghi.
Oppure su un mezzo di trasporto, in un negozio, etc…
Avere paura del contatto fisico significa avere paura della relazione.
Non parliamo quindi soltanto di scambi con semplici conoscenti o sconosciuti.
Parliamo di un blocco che ostacola la possibilità di stare con gli altri in maniera soddisfacente, o anche solo serena.
Contattofobia: da cosa dipende?
Non è possibile offrire una risposta universale a questa domanda.
Questo perché qualunque forma di malessere personale, emotivo o psicologico, ha caratteristiche uniche che variano di individuo in individuo.
È possibile però individuare una radice comune: un doloroso senso di vergogna.
Non sempre si ha percezione davvero cosciente di questo fortissimo imbarazzo relazionale.
Per qualcuno, contatto fisico con gli altri significa “semplicemente” costringersi a sensazioni sgradevoli.
Il più delle volte, quando si lavora in psicoterapia con una persona contattofobica, emerge però con forza un dato:
una profonda insicurezza interpersonale.
È una questione che riguarda strettamente l’autostima soggettiva.
Toccare, o essere toccati, fa sentire vulnerabili perché… espone all’altro.
Ovvero, “costringe” a un’interazione ravvicinata che fa sentire sotto diretta osservazione.
Il contatto fisico, quindi, mette a nudo caratteristiche considerate del tutto indesiderabili.
«meglio che non tocchi, e che non mi faccia toccare, perché l’altro di sicuro non gradirà il contatto col mio corpo…»
È la convinzione di chi convive con questo tipo di insicurezza in se stesso.
Il sentirsi intimamente sgradevoli è una base importante della contattofobia.
Questa forma di impaccio con gli altri, a volte più consapevole e a volte meno, ha spesso un ulteriore effetto.
È l’effetto di reprimere qualunque desiderio relazionale.
Qualcosa di non troppo lontano da una vera e propria paura di amare.
Psicoterapia della contattofobia
Come detto, non può esistere una risposta valida per tutti alla domanda che riguarda le cause della contattofobia.
Per questo, anche la psicoterapia non può essere descritta come se fosse un decalogo di regole o tecniche.
Nel caso della contattofobia e di qualsiasi altro disagio personale o interpersonale, la psicoterapia è come un vestito su misura.
Vale a dire, si adatta e si modella sul singolo paziente.
Parlare di contattofobia significa parlare di forte imbarazzo interpersonale.
Obiettivo fondamentale della psicoterapia è raggiungere le cause profonde di questo imbarazzo.
C’è qualcosa che si cela dietro la manifestazione evidente della contattofobia.
Qualcosa che si cela anche dietro la sensazione che l’altra persona non gradirà il contatto fisico.
Individuare la ragione di base di questa insicurezza è fondamentale per
- mettere in discussione gli “autoconvincimenti” che sorreggono questa sensazione;
- visualizzare in maniera differente gli episodi, i ricordi di vita vissuta, che sorreggono questa sensazione.
La contattofobia s’innesca a partire da un senso di vergogna personale.
Ma quella vergogna personale ha origini altrettanto personali.
Intraprendere un percorso di psicoterapia significa poter lavorare su queste origini.
Significa, in altri termini, capire il perché profondo della percezione di sgradevolezza (sia “interna” che “esterna”).
La contattofobia mette a dura prova la possibilità di vivere la relazione con gli altri in maniera gratificante.
Alleggerirne il carico consente di aprirsi all’interazione con gli altri, compresa quella sentimentale.
Francesco Rizzo
Psicologo Psicoterapeuta Padova