Challenge sui social network: di che si tratta?
L’adolescenza è per eccellenza l’età della sfida.
Attraverso il confronto costante con gli altri e con se stesso, l’adolescente struttura la propria identità.
Talvolta, la ricerca di situazioni estreme sembra l’unica soluzione per emergere, per affermarsi come individuo.
La diffusione delle cosiddette challenge, tramite i social network, fa leva su questo bisogno fondamentale in adolescenza di distinguersi attraverso comportamenti clamorosi.
Ma cos’è una challenge?
È una “sfida” lanciata attraverso i canali social.
Una sfida che, il più delle volte, contempla l’assunzione di condotte autolesive.
Utilizzando le piattaforme a più largo consumo in adolescenza (es. WhatsApp, Instagram, TikTok, Snapchat, OnlyFans…), un utente – che può essere anch’esso un adolescente, oppure un adulto – propone una sfida e la diffonde.
Questa sfida può contemplare una singola “prova” (es. sdraiarsi sui binari del treno e aspettarne il passaggio), oppure una serie di “compiti” via via sempre più pericolosi.
La blue whale è la challenge più conosciuta al grande pubblico.
Nel 2016, questa sfida social si è imposta all’attenzione della cronaca per le drammatiche conseguenze che hanno visto coinvolti diversi adolescenti americani.
In generale, la percezione del rischio in adolescenza può essere distorta, e il pericolo legato a determinati comportamenti può essere sottovalutato.
Challenge e adolescenza: cosa c’è di affascinante?
Il fascino esercitato sui più giovani da queste “prove di forza” è duplice:
- le challenge assecondano la naturale propensione alla sfida, presente in adolescenza;
- le challenge promettono di rinforzare l’autostima: se vai fino in fondo, beh, allora sì che sei un figo!…
Il desiderio di dimostrare a se stessi e agli altri il proprio coraggio in situazioni pericolose è un motore fondamentale nella decisione di sottoporsi a queste sfide.
Al contrario, per molti adolescenti non prestarsi alle challenge può diventare sinonimo di debolezza.
Anche l’influenza del gruppo ha un impatto notevole sulla scelta di intraprendere una challenge sui social:
«Lo fanno tutti, non posso essere certo io l’unico che rinuncia…!»
Adolescenti particolarmente sensibili alla “vergogna sociale” (il sentimento di vergogna provato nelle relazioni con gli altri) saranno più suscettibili al rischio di intraprendere sfide di questo tipo come se ci fossero costrette.
L’esistenza di app social ad appannaggio quasi esclusivo dell’adolescenza fa sì che questo tipo di challenge raggiungano con immediatezza il target dei più giovani.
Challenge e adolescenza: quali sono i rischi?
Il rischio più evidente è quello legato all’incolumità fisica.
Molto spesso, le challenge “impongono” sfide di resistenza fisica, oppure espongono a situazioni di evidente rischio (anche di morte).
C’è però un rischio altrettanto degno di attenzione, che è quello riguardante l’autostima e l’immagine di sé dell’adolescente.
Il “pubblico social” è potenzialmente sconfinato: i ragazzi che partecipano cercano visibilità e accettazione da parte degli altri tramite like e commenti.
Le sfide, il più delle volte, vengono registrate: questo produce contenuti fruibili dal pubblico (video e immagini).
È così che diventano virali: vedere che gli altri ce l’hanno fatta senza problemi riduce la percezione di rischio.
Un ulteriore rischio è legato al fatto che queste challenge sono generalmente segrete.
È difficile risalire al “mandante” ed è difficile che i ragazzi ne parlino con gli adulti (spesso perché minacciati proprio da chi propone le sfide).
Come intervenire in caso di “sospetto”?
Monitorare le attività social degli adolescenti non solo è complicatissimo.
È anche una pratica non del tutto corretta.
L’adolescenza è anche la stagione della vita nella quale il ragazzo comincia a godere della possibilità di tenere “segreto” qualche aspetto della sua vita personale.
Se non del tutto segreto, perlomeno segreto ai suoi genitori: è una situazione del tutto normale.
È chiaro altresì che dare fiducia “alla cieca” può essere una soluzione sbrigativa e pericolosa.
Senza dubbio allora è importante parlare di questo argomento senza temere
- il rischio di apparire “banali” agli occhi del proprio figlio, della serie cara mamma, caro papà, io queste cose le conosco molto meglio di voi!;
- un iniziale e comprensibile ostracismo: di fronte a un discorso del genere, il ragazzo può sentirsi spiato, monitorato.
Rispetto all’ultimo punto, è quindi fondamentale che il discorso su questo argomento non assuma l’apparenza di una ramanzina, o trasmetta il messaggio indiretto «guarda che ti tengo d’occhio…!»
Piuttosto, il discorso deve acquisire la forma di un dialogo.
Può essere utile, in tal senso, tentare di farsi spiegare dal ragazzo stesso come funzionano queste challenge e commentare insieme a lui la pericolosità di questi “giochi”.
Dove non può la sorveglianza (non può e non deve), la soluzione è il confronto e l’acquisizione di conoscenza.
Questa conoscenza non si basa soltanto sull’elencazione delle varie potenziali challenge e di tutti i rischi ad esse connessi.
Parlare con un adolescente significa anche approfondire il suo punto di vista, le sue convinzioni, le sue paure.
Più in generale, se si percepisce il rischio che il proprio figlio possa esporsi al rischio d’intraprendere una challenge pericolosa perché in debito di autostima, un percorso di psicoterapia può essere un’opzione importante.
Francesco Rizzo
Psicologo Psicoterapeuta Padova