Tra DAD e didattica in presenza
Andare a scuola non è mai piaciuto a nessuno, e su questo punto l’adolescenza non fa certo eccezione.
La pandemia da Covid-19 ha trasformato l’abitudine alla scuola di moltissimi studenti:
- ha introdotto la DAD (didattica a distanza);
- ha reso non più scontata l’idea di scuola in presenza.
Sembrerebbe che la maggior parte degli studenti e dei professori abbian mal digerito questo cambio di paradigma: per molti, la DAD
- ostacola il reale apprendimento degli studenti;
- intralcia la concentrazione;
- crea una pericolosa distanza emotiva tra la scuola e lo studente, nonché, tra gli studenti stessi.
Vorrei focalizzare l’attenzione in particolare sull’ultimo punto.
La relazione, in adolescenza, è un carburante fondamentale per mandare avanti la macchina della crescita.
È attraverso la relazione con gli altri che un adolescente struttura il proprio senso di sé e che impara a conoscersi.
Stare con gli altri, però, significa anche sottoporsi a una sfida costante: la sfida del confronto.
Non parliamo, necessariamente, di un confronto diretto.
Abbiamo a che fare, nella maggior parte dei casi, con un confronto più “sfumato”: il solo fatto di stare a contatto con altre persone, mette di fronte per paragone a ciò che si é:
«Guarda Emma com’è spigliata e sicura di sé, a differenza mia…»
«Marco riesce così bene nello studio, a differenza mia…»
Se è vero che l’adolescenza si nutre dello scambio costante con i coetanei, è vero anche che questo contatto, per qualcuno, può essere doloroso.
Adolescenza e ansia da prestazione
Molti adolescenti, nella transizione tra DAD e ritorno alla didattica in presenza, manifestano timore.
Qualcuno esprime disagio all’idea di dover tornare fisicamente a scuola, qualcun altro si impunta, fino a rinunciare del tutto:
«io a scuola non ci torno!»
La distanza emotiva, figlia della distanza fisica imposta dall’online, per alcuni adolescenti è un’oasi di benessere, perché sembra cancellare la necessità della prestazione.
Il termine prestazione potrebbe suonare eccessivo.
Ma per molti ragazzi, stare con gli altri è una prestazione, una performance faticosissima.
Sono quindi molti i ragazzi che si sono sentiti più sicuri, più stabili, da quando il mondo delle relazioni intorno a loro si è cristallizzato.
Tornare in presenza, per questi adolescenti, significa tornare a doversi confrontare direttamente con ciò che odiano di se stessi.
La DAD ha “mediato” questa insidiosa forma di malessere, perché ha giustificato la rarefazione degli incontri.
Il ritiro sociale da hikimori, che rappresenta senz’altro la forma più grave di azzeramento del desiderio relazionale, si sviluppa sulla base della stessa paura.
In molti casi, è la “relazione virtuale“, a favorire questa forma di opposizione all’incontro con l’altro.
Un’opposizione che, in adolescenza, si configura come un problema d’importanza capitale:
senza relazioni dirette, il rischio è che l’autostima del ragazzo si indebolisca sempre di più, come se non fosse allenata.
Che fare con un figlio che non vuole tornare a scuola?
La scuola, e in generale le interazioni sociali, sono insomma una palestra per l’autostima e la considerazione di sé.
Non frequentare la scuola e interrompere i contatti con gli altri fa sentire l’adolescente apparentemente al sicuro.
In realtà, il ritiro sociale attiva un vero e proprio circolo vizioso: disabitua al confronto con gli altri, e lo rende quindi ancora meno desiderabile di prima.
Per aiutare un ragazzo con problemi di autostima come quelli descritti in questo articolo, va affrontato con decisione il nocciolo della questione.
In altri termini, va individuata la causa profonda del senso di inadeguatezza personale che impedisce al ragazzo di frequentare i suoi coetanei.
La psicoterapia, in adolescenza, si orienta principalmente in direzione di problemi relazionali e di autostima.
Non basta certo dire, a un ragazzo che non crede in se stesso, che vale molto e non deve “farsi problemi” con gli altri.
Un adolescente che non vuole confrontarsi con i suoi coetanei vede un mostro, dentro di sé.
Ma più nasconde quel mostro, più lo rende forte.
Quel mostro va invece “tirato fuori” e affrontato: solo così può cominciare a ridimensionarsi.
Non è qualcosa che il tempo, da solo, è in grado di correggere, perché l’adolescente in difficoltà con se stesso evita le esperienze che potrebbero disconfermare le sue credenze.
Il ragazzo va allora “accompagnato” all’esperienza con l’altro.
Comprendere cos’è che dall’interno sottrae energia relazionale è senz’altro il primo passo per promuovere un cambiamento e per restituire fiducia a un ragazzo con problemi di autostima.
Francesco Rizzo
Psicologo Psicoterapeuta Padova