L’insostenibile pesantezza della modernità.
«Come va?»
«… stanco!»
«Piena di lavoro…!»
«Occupato fino al collo…». stress
Sempre più spesso, alla domanda di rito per eccellenza, i pazienti rispondono sospirando, e poi, adoperando queste parole.
Rispondere «bene» significherebbe mentire. Perché è difficile stare bene nell’era del multitasking. C’è il lavoro (a volte ce ne sono due), da svolgere in ufficio ma, troppo di frequente, da portare anche a casa, anche nella mente. Poi c’è pure tanto altro. C’è Emma da scarrozzare alla lezione di danza, Lorenzo alla partita di calcetto, poi di corsa all’ufficio postale, al supermercato, in lavanderia. E intanto avrò inviato quella mail? o era oggi la scadenza per l’invio dei documenti?.
Responsabilità, tante. E poco, pochissimo tempo per gestirle.
Questa, perlomeno, la sensazione che accomuna la gran parte delle persone con cui entriamo in contatto. Facile esprimere solidarietà:
«A chi lo dici!».
«Ah guarda, non me ne parlare, questa settimana sarà un inferno!».
«Anch’io, super impegnato, non ho un attimo per respirare».
Tutto il carico descritto, esperienza familiare a tantissimi lavoratori, mamme, papà, può essere sintetizzato in un termine di particolare fama negli ultimi anni:
STRESS. stress
La moltitudine d’impegni, appuntamenti, obblighi, è in grado di generare una forma particolarmente maligna d’insoddisfazione, di frustrazione. Si tratta di un’infelicità cronica. Hai la certezza che nulla potrà cambiare la situazione. Nemmeno una vacanza.
È difficile – in certi casi veramente impossibile – pensare di poter concedersi una pausa. Troppi gli impegni. Inutile intervenire sul numero di vincoli che incatenano le nostre giornate.
La soluzione è altrove. È nell’atteggiamento con cui facciamo fronte ai carichi che ci attendono.
Qualche giorno fa, a una paziente che ha inaugurato la sua seduta accennandomi della giornata incredibilmente frenetica che l’attendeva, ho semplicemente chiesto
«Giornata dura? Che cosa farà oggi?».
Lì per lì, è sembrata sorpresa dalla mia richiesta.
«Beh, finito qui devo andare a ritirare la macchina, che finalmente è pronta, e correre al supermercato, perché stasera ho una cena e c’è da cucinare per alcuni amici. Nel pomeriggio, devo portare Camilla al catechismo e Matteo alla partita di pallacanestro. Ah, sì, ho anche appuntamento per un caffé con Daria, la mia amica, ha tanto insistito che non me la sono sentita di dir no. Almeno potrò sfogarmi un po’!».
Ho replicato
«beh, almeno oggi niente lavoro, per il resto mi sembrano tutte cose che possiamo accogliere anche con il sorriso sulle labbra. La aspettano tanti appuntamenti con persone a cui tiene molto».
La paziente, interdetta, ha riconosciuto immediatamente che nel rendicontare la sua impegnativa sequenza di compiti da svolgere tra mattina, pomeriggio e sera, desiderava soltanto sentire riconosciuta la sua stanchezza, legittima.
Abbiamo allora approfondito il suo senso di fatica, la sensazione di sforzo, enorme, nel far quadrare impegni e occupazioni, giorno dopo giorno. Eppure, aver ristrutturato il significato della sua densa giornata le ha – parole sue – infuso nuove energie per affrontarla.
La vera malattia è la percezione di stress.
È quasi impossibile modificare il corso degli eventi, perché ogni cosa ha il suo tempo ed è necessario rispettarlo. È possibile, però, modificare il significato personale che si dà alla propria giornata.
Negli ultimi anni si è registrata una nuova epidemia: tanti pazienti a lamentare sintomi come affaticamento, insonnia, sensazione d’ansietà, demotivazione. Analisi del sangue ed esami medici di sorta gettano luce soltanto parziale sul problema: questa forma di malessere sopraggiunge quando ci si sente troppo occupati.
È importante trovare il tempo di rifiatare, di dedicare a se stessi momenti di… coccola personale, di relax, di divertimento. Ma non basta.
È altrettanto importante alleggerire il peso mentale delle nostre «giornate piene», provando a concentrarsi sul loro potenziale di gratificazione, di soddisfazione.
Francesco Rizzo
Psicologo Padova
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