Vorrei lasciarlo, ma non ci riesco…
Parole come queste sintetizzano efficacemente ciò che chiamiamo dipendenza affettiva. Il bisogno, di avere qualcuno accanto, supera il desiderio di amare, qualcuno. Una differenza fondamentale. La dipendenza affettiva è proprio come un bisogno spasmodico: un bisogno di relazione. A prescindere dalla qualità della relazione, o dalle caratteristiche della persona che scegliamo. Ciò che guida la scelta è la necessità, percepita, di non stare da solo.
La dipendenza affettiva, descritta in altri termini, è dunque la sensazione di poter stare bene solo se si ha qualcuno al proprio fianco.
Dipendenza affettiva è il bisogno di sentirsi amati. Prima ancora di amare.
Le relazioni che originano da questo particolare bisogno sono all’insegna di due fondamentali paure: la paura della solitudine, come già detto, e la paura dell’abbandono.
C’è un’altra caratteristica che contraddistingue una relazione nata sotto la spinta, potente, di queste due paure: la relazione non è soddisfacente.
Anzi. Tipicamente, la relazione di chi soffre di dipendenza affettiva, è frustrante, deludente. È il destino di una storia che non comincia per amore, ma per bisogno.
Il bisogno, la dipendenza… spingono a perdonare tutto. Le mancanze, le incompatibilità profonde. D’altro canto, l’alternativa a questa forma di insoddisfazione, suona ancora peggio: è lo star soli. Il dipendere solo da se stessi.
La dipendenza affettiva è una condanna all’infelicità.
Non soltanto per chi è nella posizione di dipendenza. Anche il partner è sottoposto a una pressone importante. È la pressione dell’esserci, di esere una fonte costante di rassicurazioni, sostegno: «voglio la garanzia che tu ci sia sempre per me!» diventa così il messaggio implicito che orienta la relazione.
Sentirsi alla mercé dell’altro significa essere spossessati del proprio potere su se stessi, sulla propria vita. È un prezzo alto da pagare e una richiesta spesso impossibile anche per il partner.
Dipendenza affettiva: come uscirne?
Alla base della paura della solitudine, dell’abbandono, risiede una fragilità profonda del senso di autostima personale; nell’affannosa e interminabile ricerca di rassicurazioni, si nasconde un doloroso senso di precarietà del proprio essere se stessi.
Si tratta di un’insicurezza che ha radici nascoste nel passato, in una storia di vita in cui la possibilità di essere amati per quello che si è, è stata messa costantemente in discussione. L’unica soluzione allora sembra quella di piegarsi alle volontà dell’altro. Ma non basta mai. È una garanzia di fiducia da rinegoziare sempre.
È necessario interrompere questo circolo vizioso: « in fondo, non valgo niente. È già tanto che qualcuno stia con me!»
È necessario, quindi, che questa dipendenza dall’altro lasci il posto, innanzitutto, a una più sana considerazione di sé. Dipendere dall’altro significa sentire di non farcela con le proprie forze. Recuperare autostima è il primo passo per svincolarsi dalla schiavitù della dipendenza.
Interrompere questo circolo vizioso significa, prima di ogni altra cosa, permettersi di ricontattare i propri desideri. Desiderare significa anche sentire di valere… di valere tanto da poter raggiungere ciò cui aspiriamo.
Dalla dipendenza affettiva all’autoaffermazione.
Possedere un sano senso di autostima, migliorare la propria immagine di sé, non vuol dire affatto essere soli. Non necessariamente. Significa, invece, riprendere possesso delle proprie decisioni, anche o soprattutto in amore. E la psicoterapia permette esattamente questo: la ricostruzione del proprio essere, che ha caratteristiche, pregi, punti di forza, che vanno ben al di là di quanto ci è garantito dal partner.
Dipendenza, in questo senso, significa vivere di luce riflessa: se non c’è il partner, allora non ci sono neanche io.
Ripescare nel proprio passato le situazioni, gli episodi, i frangenti che hanno contribuito a intaccare l’integrità della propria immagine di sé, è il primo, necessario passo alla ricostruzione. Perché permette di familiarizzare, fino a far propria, una formula di vita necessaria: se è sempre andata così, non è detto che debba sempre andar così.
Francesco Rizzo
Psicologo Padova