Non ne posso più della mia vita. Significa che sono depresso?
Sì. Depressione, è anche questo. Tutto ciò che viene alla mente, se pensiamo alla depressione, è tristezza, sofferenza emotiva, autosvalutazione, pessimismo. Ciascuno di noi conosce queste dolorose condizioni, e ciò contribuisce alla banalizzazione di un concetto che, invece, è una malattia, «la malattia del secolo» secondo qualcuno.
La depressione è una cosa seria: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione è la seconda causa di invalidità per malattia, ed entro il 2030 sarà la prima causa di giorni “persi” al lavoro.
Parlare di depressione significa parlare di una malattia… bastarda. Perché prosciuga ogni tua speranza di vita.
Eppure, chi è depresso, finisce per non riconoscersi come “depresso”. La depressione viene negata, sottovalutata, ridimensionata. Lo facciamo noi, quando iniziamo ad avvertirne i segnali, e lo fa chi ci sta intorno. «Reagisci!», «Tirati su!». Facile a dirsi. E ciò che è peggio, è che un po’ interiorizziamo l’atteggiamento di chi vorrebbe che ci “dessimo una mossa” in quattro e quattr’otto.
«Non ce la faccio a stare meglio. Non ne sono capace. È colpa mia»
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La depressione ti fa sentire come se la tua capacità di autoguarigione, le tue possibilità di godere delle cose, di riderne, di avere iniziativa o speranza, siano completamente azzerate. «La depressione è l’incapacità di provare emozioni, la sensazione di essere morti mentre il corpo è ancora in vita» diceva Erich Fromm. Tutto succede intorno a te, e tu… non vivi più niente. Non hai più voglia. Ti stai spegnendo.
Avverti demotivazione, una sorta di pigrizia dolorosissima, un senso di peso nel corpo, una stanchezza che sembra sonno e invece è qualcosa di molto, molto più profondo.
E non è tutto. Ci si sente senza speranza, e questo succede perché… ci si sente in debito. In colpa, ma una colpa che non è possibile estinguere. Ci si sente inferiori. Ci si sente senza speranza.
Tutti riescono a darsi una mossa, io no. Deve essere colpa mia. Sono io che non funziono.
Depressione è un circolo vizioso: sto male, ma non posso farci nulla. Quindi sto anche peggio.
La guarigione, del resto, non sta in mano agli altri. Anzi, gli altri finiscono per entrare nello stesso circolo vizioso.
Le parole degli amici non ci toccano. I loro consigli sono inapplicabili, anzi, se proviamo a metterli in pratica («prova a dormire di più!», «esci un po’!», «prova a staccare la mente»), ci sembra di fallire.
Fare, in depressione, comporta proprio questo: il rischio del fallimento. L’aumento del dolore
.
Se vuoi superare la depressione, devi oltrepassare innanzitutto il senso di colpa.
Star male non è una colpa.
Allo stesso tempo, star male non è per sempre.
«Sono sempre depresso. Non ho più voglia di fare niente».
«Sono depresso. Non ho voglia di fare niente».
Capìta la differenza?
In depressione, il tempo è come immobile. È un eterno, lancinante presente.
Modificare la percezione del tempo è forse il primo passo. Modificarla significa, innanzitutto, riprendere il discorso della speranza. Fare qualcosa, si può: la depressione non è una condanna!.
«Sono depresso, sto male, è tutto inutile».
«Sto male perché sono depresso».
Ma qual è il punto di arrivo di un percorso di psicoterapia sulla depressione?
È la possibilità di tornare alla vita. Di avere coraggio, iniziativa, speranza. Di tornare a sentire, e godere delle cose grandi e piccole. Di avere la forza, anzi, l’entusiasmo, di alzarsi al mattino e cominciare una nuova giornata.
La depressione è una cosa seria. Ma non è per sempre.
Francesco Rizzo