Quando l’uomo ama la… macchina
C’è chi ha parlato del rapporto uomo-tecnologia ben prima che le discipline psicologiche e umanistiche facessero proprio il tema. C’è chi ha raccontato di come il virtuale, la macchina, l’inanimato, possano sostituirsi al “reale”, persino nel settore più emotivo dell’esperienza umana: l’amore.
C’è chi lo ha fatto ben 32 anni fa, al cinema, e senza ricorrere alla fantascienza: è Marco Ferreri, nel suo I Love You.
Film tutto da riscoprire: c’è la tecnologia, c’è un uomo che se ne innamora, eppure gli schermi neri di Black Mirror non c’entrano affatto.
Ci si può innamorare di una macchina? Forse sì: la tecnologia alletta l’uomo moderno più dell’umano.
I love you è la storia, spietata, d’un narcisista, e nonostante sia un prodotto datato, è una straordinaria fotografia dei mutamenti che la civiltà post-moderna ha impresso all’umanità dal punto di vista relazionale, sentimentale e sessuale.
Michael, bello e solitario, è conteso da molte donne, eppure è un uomo annoiato e insofferente. Un giorno, per strada, giunge al suo orecchio una voce suadente che gli sussurra I love you. La voce proviene da un portachiavi raffigurante un grazioso viso di donna. Michael se ne innamora.
Nel mentre, l’occhio del regista incede imperturbabile su una città iper-pop, iper-tecnologica, volgare e indifferente. È un ritratto della società contemporanea, sempre più avvinghiata consumisticamente a oggetti-feticcio (come la tv perennemente accesa, simbolo di desolazione e di avvilente dipendenza) e alienata, come il protagonista, che egocentrico e schivo, finisce per innamorarsi morbosamente di un gingillo tecnologico. L’idillio s’interrompe, con toni che oscillano tra il drammatico e il grottesco, quando il ragazzo si rende conto che anche altri possiedono lo stesso portachiavi, e che il portachiavi è sensibile anche ad altri stimoli, come il suono di un carillon.
Dalla donna oggetto all’oggetto donna, si potrebbe dire. I love you fa riflettere: la tecnologia dà nuova forma all’uomo, alle sue abitudini, ai suoi modi d’intendere e di cercare la relazione. Il rapporto con l’altro si svuota, si riduce all’infatuazione per un gadget che è uguale a tanti, e che proprio per questo, è in possesso di molti.
A livello tematico, più ancora che le consuete questioni sull’impossibilità della coppia e sulla (presunta) autosufficienza amorosa del narcisista, spicca quello della sostituzione dell’umano con la tecnologia.
«Ti farebbe comodo una ragazza così, vero? Una ragazza docile, pronta, sempre là. E quando ne hai voglia, le fischi».
Più di venticinque anni dopo, con più dimestichezza storica e una visione maggiormente ampia dell’impatto della tecnologia sulla vita dell’uomo, Her di Spike Jonze e il già citato Black Mirror hanno provato ad esplorare la stessa dimensione.
I love you rimane, ad ogni modo, un documento pregevole su quella che oggi definiamo “solitudine digitale“.
Anche se, per dirla con le parole dell’antropologa Ida Magli, «questa non è più solitudine: è solità“.
Francesco Rizzo