Il migrante e la costruzione del nemico
Nel tardo pomeriggio di ieri si è diffusa la notizia del raccapricciante fotomontaggio della testa insanguinata della Presidente della Camera Laura Boldrini, con la scritta «Sgozzata da un nigeriano inferocito, questa è la fine che deve fare per apprezzare le usanze dei suoi nemici». Il post è apparso su Facebook, e la frase fa riferimento al caso di Pamela Mastropietro, la ragazza diciottenne il cui cadavere, fatto a pezzi e chiuso in due valigie, è stato trovato tre giorni prima nel maceratese, crimine per cui è stato accusato e arrestato uno spacciatore nigeriano.
È ormai risaputo quanto espressioni d’odio e di intolleranza feroci, negli ultimi anni, abbiano trovato canale di propagazione privilegiato nella Rete. E quest’ultima, se da un lato offre possibilità di estensione e di diffusione dei propri pensieri immediata, dall’altro consente una comoda deresponsabilizzazione dagli atti compiuti: lo strumento digitale rinforza la percezione di anonimato, d’invisibilità, e quindi la sensazione che tutto sia concesso.
Qui il pensiero corre a Freud, che, a proposito delle grandi masse, scriveva che la moltitudine permette all’individuo di mettere a tacere le rimozioni dei propri moti pulsionali inconsci, producendo una forma di disinibizione e di spregiudicatezza tali da permettere di compiere le azioni più efferate. Sempre con Freud, sappiamo che nella psiche albergano due ordini di pulsioni istintuali: Eros e Thanatos, amore e distruttività.
Approdare all’età adulta significa anche imbrigliare queste componenti pulsionali per renderci, così, membri civili della comunità umana. Ciò non impedisce, però, che i moti distruttivi tornino in luce, così come possiamo facilmente intuire da sogni o fantasie ad occhi aperti, che magari durano lo spazio di un istante, ma testimoniano, anche nelle persone più equilibrate, l’esistenza di una consistente carica aggressiva.
C’è bisogno di un colpevole, di un capro espiatorio, che catalizzi e raccolga su di sé i flussi di una ferocia che, altrimenti, si sprigionerebbe in maniera ancora più sfrenata. Tra le strategie d’individuazione di un nemico, di demonizzazione – strategie inconsce, eppure in un certo senso manovrabili da chi si occupa della materia psicologica, ad esempio esperti della comunicazione di massa – gode di particolare efficacia la rappresentazione dell’antagonista come inferiore, brutto, sporco, o ancora, lontano, straniero.
È quanto ci mostra l’infinito vespaio di polemiche, spesso anche stucchevole, che si agita intorno al tema dei migranti, e più precisamente del loro ingresso nel tessuto sociale nazionale. È lo straniero a diventare quell’antagonista “brutto, sporco e cattivo” – e altrettanto chi ne prende le parti, come Laura Boldrini! – e lo è proprio perché lontano, appartenente a una dimensione che sembra irraggiungibile.
D’altro canto, la paura dello straniero è anche paura dello strano, dell’ignoto, dell’incomprensibile che c’è in noi, con cui le altre culture ci costringono forzatamente a fare i conti.
Se lo straniero rappresenta tutto ciò che di imprevedibile o di instabile abita la nostra vita, non si può che guardare a questi come a un segno visibile e tangibile della fragilità del nostro benessere e del nostro avvenire.
Francesco Rizzo